Una nuova tecnologia può portare vantaggi considerevoli – queste sono le conseguenze auspicabili. Ma può anche provocare effetti indesiderati, ad esempio aumentare le ingiustizie, danneggiare l’ambiente o mettere a repentaglio i valori che riteniamo fondamentali.
Facciamo un esempio. Oggi in Svizzera per l’assicurazione di base vengono pagati gli stessi premi, sia dalle persone sane che da quelle malate. Chi necessita di terapie più costose viene sostenuto dai contributi di tutti, che coprono le spese. Si tratta del cosiddetto principio di solidarietà. Ora, se la metà del premio dipendesse dal fatto che il fitness tracker dimostra uno stile di vita sano, potremmo dire addio al principio di solidarietà. Perché tutti coloro che non possono, o non vogliono, praticare attività fisica, o magari semplicemente preferiscono non svelare troppi dati personali, verrebbero discriminati.
D’altro canto, la medicina potrebbe apprendere molto dai dati raccolti in grande stile, aiutando a riconoscere tempestivamente le malattie o a sviluppare terapie più efficaci. Con grandi benefici per tutti noi – e questo non conta forse di più che proteggere i nostri dati personali?
In merito ai wearables, si pongono numerose questioni etiche. L’automonitoraggio continuo si tradurrà in uno stile di vita più consapevole? Dovrebbe addirittura diventare un dovere, nell’interesse collettivo? Oppure questo tipo di tecnologia ci «disumanizza» perché riduce «l’essenza ideale dell’essere umano» a una serie di dati di misurazione?
Con i suoi quesiti l’etica contribuisce a creare una maggiore consapevolezza per quanto riguarda la gestione delle nuove tecnologie. Dove ci sono opportunità che non possiamo permetterci di perdere? E dove servono leggi e regolamenti per contenere gli effetti negativi?