Il Prof. Thomas Speck è titolare della cattedra di «Botanica: morfologia funzionale e bionica» presso l’Università di Friburgo in Brisgovia, nonché direttore del giardino botanico locale. I punti chiave della ricerca del suo gruppo di lavoro ruotano attorno a biomimetica, biomeccanica, evoluzione e movimento delle piante. Inoltre è uno dei portavoce del «Cluster of Excellence Living, Adaptive and Energy-autonomous Materials Systems (livMatS)» e (co)editore di diversi libri e pubblicazioni scientifiche sulle tematiche incentrate su bionica, biomeccanica, morfologia funzionale, biologia evolutiva e paleobotanica.
Technoscope: Perché l’architettura si interessa di biologia?
Thomas Speck: L’architettura ha sempre guardato con interesse alla natura, all’inizio principalmente per motivi estetici, ma già con la torre Eiffel nel 1889 ci si è ispirati al sistema di costruzione leggero delle trabecole dell’ossatura della coscia. Negli ultimi 40 anni la gestione della bionica è diventata sempre più strutturata.
Come si procede nella ricerca in bionica?
Esistono due processi. Il primo è il cosiddetto processo bottom-up, in cui dopo aver scoperto un’interessante funzione biologica si va alla ricerca di un’applicazione tecnica adeguata. Spesso nascono oggetti completamente nuovi. Tuttavia, dalla scoperta alla prototipazione possono passare anche da 5 a 7 anni. Decisamente più frequente è il processo top-down: l’industria formula un quesito da risolvere ricorrendo alla natura. Nell’arco di 2-4 anni si arriva al prototipo.
Ci racconta come nasce un prodotto top-down in concreto?
Gli architetti erano alla ricerca di un sistema ottimale di ombreggiatura per le facciate in vetro curvato perché, con i loro innumerevoli minuscoli elementi e cerniere, i sistemi tradizionali richiedono molta manutenzione e sono particolarmente sensibili ai guasti. Dato che le piante non hanno né cerniere né giunti, offrono soluzioni interessanti. Due biologi e due architetti sono riusciti a trovare un’idea entusiasmante.
Cosa hanno scoperto?
I fiori della pianta sudafricana dell’uccello del paradiso hanno una parte che si apre non appena vi si posa sopra un uccello. I ricercatori hanno prima riprodotto questo principio attraverso un modellino a forma di spiedino con una pinna di carta e poi da lì hanno sviluppato un elemento di ombreggiatura della facciata che si apre e si chiude solo mediante deformazione elastica. Il sistema risultante alla fine del processo, il Flectofin, è molto più robusto rispetto ai sistemi tradizionali.
Chi ha le carte in regola per occuparsi di bionica?
Il nostro è un gruppo di ricerca interdisciplinare con scienziate e scienziati provenienti da settori eterogenei: biologia, fisica, geologia/paleontologia, ingegneria, ricerca dei materiali, chimica … L’ideale secondo me è completare un percorso di studi in una disciplina di base per acquisire un solido bagaglio di conoscenze, e poi entrare nel mondo della bionica con la tesi o un master. Collaboriamo con architetti, ingegneri e ricercatori di materiali, per conto dell’industria. È fondamentale avere una spiccata curiosità di scoprire come funzionano le cose. Oltre a un lato ludico e creativo.
Le soluzioni bioniche potrebbero contribuire a gestire il cambiamento climatico?
L’architettura, o l’urbanistica in generale, è una leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi climatici. Basti pensare ad esempio alle emissioni globali di CO2 per la produzione del calcestruzzo. Il sistema bionico di ombreggiatura della facciata che citavo prima potrebbe contribuire a garantire un isolamento termico efficiente di edifici e vetrate. Un altro esempio sono i sistemi ramificati in fibre composite, ispirati alle piante di Dracena e ai cactus a candelabro: utilizzando il calcestruzzo leggero come materiale di riempimento dell’opera si potrebbe arrivare a un risparmio del 20-30% sui quantitativi necessari.
La bionica è sostenibile?
Le applicazioni bioniche non sono sostenibili di per sé: bisogna testare ogni singolo prodotto separatamente per verificarne la sostenibilità. La stessa biologia non è orientata alla sostenibilità, bensì alla ricerca di una soluzione ottimale con il minimo dispendio di materiali ed energia. Un principio applicabile anche nell’edilizia. Non è necessario costruire nell’ottica dell’eternità – pensiamo ad esempio che di norma la durata delle case monofamiliari abbraccia a malapena due generazioni – ma è importante che i materiali utilizzati per questo arco di tempo siano il più ottimali possibile.
Libro consigliato
Bionisch bauen, Von der Natur lernen (Costruire all’insegna della bionica, Imparare dalla natura). Jan Knippers, Ulrich Schmid, Thomas Speck (editore), Birkhäuser Basel 2019